Ho 41 anni, una laurea in Economia, un lavoro da Responsabile di una funzione di controllo in Banca ed una passione antica, profonda assoluta per lo sport, quello che ti fa gioire, soffrire, esultare, quello che con estrema democrazia ti restituisce (quasi) sempre tutto l’impegno, il sudore e i sacrifici che fai per raggiungere i tuoi obiettivi.
Prima la pallavolo giocata, poi da allenatore, e con il tempo che passa due ernie al disco operate ed una morfologia fisica che assomigliava più a quella dell’uomo da divano che a quella di un atleta. Un bel giorno il mio grande amico e collega Michele viene da me e mi dice: “Correremo la Maratona di New York“.
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È il 2012. Per me la corsa è solo un modo per rimanere un minimo in forma, non mi ha mai dato grandi emozioni e francamente la proposta di Michele suonava più come “cose che fanno due bancari di mezza età”. Ma, in fin dei conti, a me le sfide piacciono molto e alla provocazione di Michele ho detto un “sì” convinto senza pensarci due volte.
È il Febbraio 2012: i primi libri sulla corsa, le prime tabelle scaricate, i primi allenamenti con il freddo e con il maltempo. La passione cresce, ancora, ancora ed ancora, sino alla prima gara ufficiale: la “Quattro passi in Franciacorta”, una Mezza Maratona dura, con un caldo infernale che mi restituisce (oltre che un mal di gambe durato molti giorni) una convinzione incrollabile: correre la Maratona è ciò che voglio fare!!
E finalmente, dopo 10 mesi di allenamenti, il grande giorno arriva: è il 9 Dicembre 2012 quando mi presento ai nastri di partenza della Maratona di Reggio Emilia con timore, emozione ed un pizzico di paura. E la Regina delle corse mi insegna a rispettarla già al primo valzer.
Fa freddissimo e non mi va di bere a tutti i ristori e lei, la Regina, mi punisce nel suo modo più classico, infrangendo le mie speranze di “tempo” al famigerato muro del 35° km. È il 33°, inizio ad arrancare, poi partono i crampi e sono costretto ad alternare corsa e camminata, mi sento frastornato, stanco, deluso, ma rifiuto di ritirarmi e decido che, in un modo o nell’altro, le mie gambe mi avrebbero portato al traguardo. E così è stato.
È quasi un’ora dopo quando, dopo 4 ore e 6’ mi presento allo striscione del 42° km (dove era appostata mia moglie Virginia) e capisco di avercela fatta. Ancora oggi stento a trattenere le lacrime tanto forte è stata l’emozione e, malgrado il tempo e tutti gli errori commessi il 09/12/2012 resta ben impresso come il ricordo sportivo più emozionante di tutta la mia vita.
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Ed è sempre il 09/12/2012 quando, in preda a dolori lancinanti (non ho letteralmente camminato per un paio di giorni) inizio a pensare alla prossima Maratona, con la follia che solo il maratoneta conosce. Nel 2013 corro a Milano, alla Maratona dell’Acqua, a New York, nel 2014 a Brescia, a Stoccolma e di nuovo a Reggio Emilia, nel 2015 a Milano e a Berlino.
Già, Berlino, una gara preparata meticolosamente perché volevo infrangere quel record personale che, nel frattempo, si era abbassato a 3 ore e 22’. Mi sono allenato duramente, ho preparato tutto al meglio e ciononostante è arrivata una grande delusione: record “bucato” di soli 8 secondi.
È allora che mi rendo conto che, forse, a 41 anni, pensare solo al tempo finale, con l’età che avanza ed un corpo oggettivamente non ‘ideale’ per la corsa non ha senso. Devo trovare il giusto mix tra il mio essere competitivo e le mie reali possibilità per continuare a nutrire quella passione che mi ha dato molto, moltissimo.
Ho bisogno di una sfida nuova.
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Sfogliando le riviste del settore mi imbatto nel racconto della “100 km del Passatore”, una gara mitica, affascinante, durissima; una sfida impossibile da corrersi a cavallo tra il giorno e la notte tra la calura pomeridiana di Firenze ed il freddo pungente dei passi dei colli toscani. Una corsa impossibile per i più ma, forse, non per me…
Allora inizio ad informarmi, a scaricare le mappe del percorso, a vedere i video su You Tube di “Re Giorgio” Calcaterra (3 volte campione mondiale 100 km e vincitore nelle ultime 9 edizioni del “Passatore”) e, alla fine, decido di iscrivermi.
È quel giorno di Ottobre che inizia il mio viaggio “oltre” la Maratona, un viaggio fatto di tanti Km, di allenamenti duri da non “bucare” mai e poi mai, di tante paia di scarpe e di fatica, fatica, fatica. La tabella di allenamento prevede 4-5 uscite settimanali con un “lungo” domenicale che mi porta spesso oltre i 30 km e mi fa fare dislivelli cui onestamente un maratoneta difficilmente è abituato.
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Ed ora, finalmente, si inizia a toccare con mano il risultato di tutto questo lavoro. Il Passatore è ancora distante (27 Maggio) ma da fine Febbraio si inizia con i “lunghi”. Si iniziano a percorrere distanze che fino a pochissimo tempo fa non erano un allenamento, ma un obiettivo.
E con questo spirito che mi presento alla Maratona delle Terre Verdiane a fine febbraio. È la mia decima Maratona e, per la prima volta, l’obiettivo non è il tempo, ma solo e semplicemente correre 42 km ed essere poi in grado (già al Martedì) di allenarsi ancora. Il risultato è strepitoso: alla fine in 3 ore e 41 chiudo il mio allenamento “in pantofole” godendomi la rara soddisfazione di vedere gli altri soffrire agli ultimi km che, per me, sono solo una passerella che, dal momento che fa freddo e voglio arrivare, mi permetto di accorciare spingendo forte per 5-6 km senza nessun problema.
Mi rendo conto che (forse) posso essere un ultramaratoneta.
E la conferma arriva alla Brescia Marathon, nella mia città: il programma di allenamento prevede un 50 Km (8 + i 42 km della Maratona). Sono teso, preoccupato, rispettoso di una distanza che non ho mai corso e, realmente non so se sono in grado di correre: per la prima volta devo andare “Oltre la Maratona”.
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Parto da casa (che sta proprio a 8 km dalla partenza) con il mio angelo custode Virginia (che mi sopporta, prima ancora che supporta) e percorro la distanza giusto in tempo per arrivare alla partenza, infilarmi la maglia di gara, e partire per questa nuova avventura.
La sensazione è buona, le gambe girano a meraviglia, e solo per un istante tra il 20 ed il 25 km sento la stanchezza sopraggiungere; ma è solo un momento. Dal 25° al 40° la mia corsa è sciolta, sicura e la mia mente è serena, felice, aspetta con gioia il momento in cui “sfonderò” il muro dei mitici 42 km e 195 mt.
Supero i 42km quando per gli altri maratoneti in corsa è il momento più duro, il muro del 35° Km, l’ostacolo che in 11 Maratone ho imparato a gestire, schivare, sopportare. Ma io non ho testa altro che per “sentire” il mio corpo che lavora alla perfezione come mai mi è capitato: sono un ultramaratoneta
L’emozione è forte, le gambe non smettono di girare ed il cuore pompa a meraviglia quando inizio ad intravedere il centro di Brescia: ormai è fatta.
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Mi prendo addirittura il lusso di capire se posso, dopo 48 km, spingere ancora forte e gli ultimi due Km corsi a 4.45 al Km mi danno una soddisfazione indicibile mentre supero tantissimi concorrenti che sembrano distrutti mentre io ne ho ancora. Alla fine la mia fatica si è conclusa in 4 ore e 17 minuti con un tempo in maratona (3 ore e 38) che una volta mi sarebbe bastato per camminare una settimana ad un metro da terra.
La strada per la mia 100 km è ancora lunga, lunghissima, però oggi ho capito che il mio corpo può correre tranquillamente per 50 km (e forse molto di più) ed è come se avessi salito un nuovo gradino nella consapevolezza di ciò che le mie gambe, la mia testa, il mio corpo possono fare.
Ora il prossimo step sarà a Seregno, il 10 Aprile, dove proverò a spingermi a 60 Km.
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