Ambrogio Beccaria, 27 anni, milanese con una laurea in ingegneria nautica in tasca, è la nuova promessa della vela oceanica italiana. Già due volte campione italiano della Classemini, nel 2018 campione francese in solitario, e con la Mini Transat del 2017 come esperienza, ha deciso di partecipare alla Mini Transat 2019 con l’obiettivo non solo di essere tra quelli da battere ma anche di completarla a impatto zero.
“Negli ultimi anni ho fatto tante miglia tra Atlantico e Mediterraneo, e la cosa più preoccupante è che ho notato un aumento di plastica veramente impressionante. Vogliamo occuparci dei problemi di ambiente o faremo sempre finta di niente? Mi piacerebbe riuscire a trasmettere questo messaggio soprattutto ai ragazzi della mia età, che hanno il destino del mondo tra le mani. Ma molto spesso è difficile parlare di questo argomento dato che in troppi lo strumentalizzano senza poi fare nulla di concreto. Per questo motivo ho deciso che farò la Mini Transat 2019 solo unicamente grazie a energie rinnovabili”.
Lo abbiamo intercettato di passaggio a Milano per partecipare a Fa’ la cosa giusta!, la fiera nazionale del consumo critico e degli stili di vita sostenibili per parlare di “mare come scuola di vita” nello stand del suo sponsor Geomagworld, i giocattoli da costruzione magnetici di cui è brand ambassador, e ci siamo fatti spiegare il suo progetto di regata a impatto zero.
Ambrogio, cosa significa affrontare una regata a impatto zero?
Bisogna partire dal fatto che si tratta di regate su percorsi molto lunghi, che possono comportare fino a 20 giorni per mare in solitaria e in autonomia. La nostra fortuna è quella di essere spinti dalla forza del vento nelle vele, ma poi serve portare molto materiale, dall’acqua e il cibo all’energia elettrica.
A cosa ti serve l’energia elettrica su una barca a vela?
A bordo c’è molta strumentazione tecnica che funziona con la corrente elettrica, a cominciare dall’autopilota, e già dallo scorso anno ho dotato la mia barca di speciali pannelli solari orientabili che sono molto efficaci nel ricaricare le batterie di bordo. In questo modo mi garantisco l’indipendenza a impatto zero.
Quali altre problemi ti impone di risolvere l’indipendenza in mare?
Quello della cucina, dove serve molta acqua e molto cibo da mangiare, che è principalmente costituito da monoporzioni di alimenti liofilizzati. Per l’acqua potabile risolvo con delle taniche da 10 litri a uso alimentare che sono riutilizzabili, mentre ho il problema della plastica per le confezioni mono uso di cibo.
Che cosa significa questo nel concreto?
Durante una regata mangio solo cibo confezionato sottovuoto, e per questo al momento c’è solo la plastica. Ho provato diversi materiali di plastiche bio ma per la conservazione del cibo non sono efficaci, perché per mettere sottovuoto i cibi serve della plastica molto resistente. L’ideale poi sarebbe un materiale che non solo permette la conservazione sottovuoto ma che si possa anche riscaldare, visto che a bordo per cucinare ho solo un fornelletto jetboil tipo quelli da campeggio, dato che lo spazio è molto limitato.
Nessuno produce quello che ti serve?
No, è una ricerca molto difficile, perché la sensibilità circa questi temi è molto recente e perché abbiamo esigenze molto specifiche. Ma ho fiducia che riuscirò a trovare un’azienda che voglia sviluppare con me questo materiale aiutandomi nel mio progetto.
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