Abbiamo corso con le ciaspole da corsa a Madonna di Campiglio, che non è solo quel villaggio glamour incastonato come una perla tra l’Adamello e il Brenta, attrazione per lo sci alpino internazionale. Perché abbiamo scoperto essere il punto di partenza di un percorso ad anello da correre con le ciaspole, una prova di snow-running in cui ci ha accompagnato Cesare Maestri. Perché sulla neve si scia, sia chiaro, nel senso che quando arriva una bella nevicata si prendono gli sci e si scivola: con gli sci da discesa, magari anche con quelli da fondo se c’è la voglia di fare un po’ di fatica, e se avete le pelli si può persino andare in salita con quelli da scialpinismo. E l’elenco non finisce qui, perché ci sarebbe anche la tavola da snowboard. E se vogliamo dirla tutta sulla neve ci si diverte anche con slitta e bob, ma questa è un’altra storia.
Tuttavia, la prima attività che l’uomo ricordi nella sua ancestrale mobilità sulla neve è quella del cacciatore che, per non sprofondare nella neve in cerca della preda, si inventa due protesi ai piedi per aumentare la superficie d’appoggio sul manto nevoso: nascono così le ciaspole. A essere precisi si chiamerebbero racchette da neve, ma è un nome troppo lungo e poco figo.
Inutile spendere tempo a spiegare cosa sono le ciaspole, mentre la vale la pena dire che c’è una versione da gara che consente di correre sulla neve: sono piccole, strette sufficientemente perché la corsa non sia simile a una anatra fuori dall’acqua (anche se all’inizio qualche strisciata contro le caviglie può lasciare i segni). Il modello racing delle ciaspe (così le chiamano in Trentino) sono flessibili tanto da adeguarsi alle scarpe da running come fossero una seconda suola. Sotto, minacciosi puntali d’acciaio fanno presa sulla neve più dura, «ma devi fare attenzione quando vedi del ghiaccio, perché non sono sufficienti per il grip su quello vivo». A parlare è Cesare Maestri, ragazzo di 27 anni, ingegnere trentino con un presente di alto livello nella corsa a piedi e nei brevi trail, e che, intanto che non ci sente nessuno, ha l’obiettivo 2021 di fare una mezza in un’ora e 3 minuti. Lui è cresciuto all’ombra delle Dolomiti di Brenta, il gruppo montuoso che sembra dialogare con il dirimpettaio Adamello in un eterno e affascinante scontro, tra roccia di dolomia nelle prime e pietra di granito nel secondo. In mezzo c’è Madonna di Campiglio, la cittadina glamour che vanta così tante stelle appese ad alberghi e hotel, che sembra di guardare il cielo in una notte d’agosto. Ed è proprio il villaggio più cool del Trentino che sarà la base di partenza per una corsa sulla neve calzando un paio di ciaspole da gara.
Come un provetto Virgilio che accompagna Dante tra l’inferno e il purgatorio, Cesare ci guida lungo un itinerario circolare di una dozzina di chilometri e quasi mille metri di dislivello, che tutto ha meno che le sofferenze degli inferi danteschi. In questo paradiso trentino un po’ corriamo, e un pochino camminiamo: sì perché la salita è salita anche con le ciaspole ai piedi. A volte ci fermiamo a guardare quello che ci circonda, a Cesare brillano gli occhi come fosse la prima volta, ed io penso come la gente di montagna ha la capacità di stupirsi ogni giorno per ciò che va sotto il nome di creato. Campiglio è a poco più di 1.500 metri quota e il respiro è il primo ad accorgersene tanto che ben presto diventa fiatone. Il sentiero sale come una rampa di un garage fino a quando taglia la pista da sci denominata Michael Schumacher e il muro della Streif: è una parete quasi verticale. «Se uno sciatore cade qui non si ferma più, conclude la corsa giù in fondo» mi dice Cesare, con un ghigno tra il divertito e il preoccupato. Qualche decina di metri più in là il sentiero si apre in quella che tutti chiamano la Terrazza della Principessa Sissi, a ricordare le tracce dell’impero austroungarico che si spingeva fin qui.
Riprendiamo perché la nostra escursione a 150 battiti è piuttosto lunga, ma quando la via tra i boschi svolta a sinistra restiamo a bocca aperta: di fronte a noi si apre una finestra dove si staglia il gruppo del Brenta, un filare impressionante di cime, piloni, vette, pareti, canali, camini e tutta la dotazione alpina di emozioni in roccia. Il colpo al cuore è così forte che alla sera, mentre scrivo queste due righe a ricordo della giornata, mi accorgo di non aver scattato nemmeno una foto. Cesare allunga il dito indice e incomincia a battezzare nomi di punte e sommità varie, che io puntualmente dimentico un secondo dopo. Mi racconta di una impresa della scorsa estate da Campiglio a Cima Tosa, andata e ritorno in poco più di tre ore, e la cosa che più ferisce la mia autostima, è che lo dice sorridendo, come fosse stata una passeggiata: «Eh sì, quel giorno abbiamo fatto proprio una bella tirata…» commenta, e allora io, sentendomi in colpa, lo anticipo e riprendo a correre, fino a quando arriviamo a quasi 2.000 metri di quota sotto la punta dello Spinale, e lì c’è un intero altipiano fatto di gobbe e panettoni pennellati col bianco della neve.
Ci fermiamo alla Malga Fevri per mangiare una barretta e lasciarci andare a qualche racconto, come quello di Cesare che mi dice di aver vinto la Ciaspolada della Val di Non a una media di 3’25” al chilometro con le stesse ciaspole che indossa oggi. Probabilmente devo aver sgranato gli occhi, e forse devo aver esclamato qualcosa di poco giornalistico. E così il runner trentino abbassa il tono della discussione dicendo che le famiglie possono arrivare lì anche con gli impianti di risalita: lo dice con profondo rispetto sulla mia performance, ma io avverto un filo d’ironia. «Andiamo forza, che non siamo ancora a metà del nostro itinerario» dice alzandosi in piedi e mi trascina lungo un sentiero che taglia la neve intorno a noi, maculata di un velo giallo ocra: è la sabbia del deserto africano che il vento e le perturbazioni dei giorni scorsi hanno scaricato sulle Alpi trentine. Un panorama surreale, anche per l’assenza di persone, se non sparute coppie di passeggiatori e piccoli gruppi di scialpinisti che condividono con noi il tracciato.
Le nostre corse proseguono in direzione Grostè, probabilmente la pista di sci che divide la fama di Madonna di Campiglio con la ben più tecnica 3Tre, che si trova sul versante opposto. Tagliamo la pista fino al Rifugio Boch dove ci aspettano un paio di panini e un’acqua minerale. Riprendere a correre con la pancia piena non è mai facile, ma qui partiamo in discesa verso la terza e ultima tappa della nostra corsa al cospetto del Brenta, la Malga Vagliana, e poi da lì un volo in picchiata verso Campiglio. «Allora, se torni d’estate chiamami, che la rifacciamo con le scarpe da trail: ci divertiamo ancora» mi saluta così Cesare, pugno contro pugno e lo lascio andare a fondovalle, mentre io raggiungo il mio van dove scarico le tracce del GPS e i frammenti di una giornata da ricordare come quella del battesimo di una corsa con le ciaspole, che accompagno con un “da ripetere”.
Post Scriptum: il video di questa giornata sulle ciaspole a Madonna di Campiglio lo puoi vedere qui.
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