Abbiamo lasciato passare un po’ di tempo prima di tornare su un argomento che recentemente ha messo a dura prova due grandi ed esperti esploratori. Le insidie dei ghiacci.
Il 14 gennaio i media comunicavano che Michele Pontraldolfo, esploratore friulano, ha dovuto abbandonare la sua spedizione Antarctica 2015 a causa delle condizioni metereologiche, ma ben più drammatico è stato l’epilogo dell’impresa di Henry Worsley, l’esploratore polare britannico che ha perso la vita in Antartide proprio pochissimi giorni prima di raggiungere la meta. La causa sembra una peritonite batterica.
Quelle polari sono spedizioni che richiedono un impegno economico notevole, che presuppongono una accuratezza maniacale nella preparazione e soprattutto un’attenta valutazione di tutte le insidie che si possono nascondere nei ghiacci. Ma a volte tutto questo può non bastare: per Pontraldolfo così come per Worsley a nulla è valsa l’importante esperienza accumulata nelle numerose imprese già concluse.
Chiediamo dunque a Danilo Callegari, avventuriero estremo ed esploratore, fresco di Africa Extreme, ma con un pensiero al Grande Freddo, di darci una sua opinione su questi ultimi fatti accaduti.
Due situazione diverse, ma purtroppo uno stesso risultato: l’Antartide è pericoloso. Non ci sei ancora stato, ma hai già avuto grandi esperienze sui ghiacci dell’Islanda. Quali sono i rischi di un territorio ghiacciato?
I rischi su un territorio ghiacciato sono molti, insidiosi e spesso invisibili. L’esperienza è indubbiamente il vero gioco-forza: essa aiuta ad avere un colpo d’occhio e un metodo per gestire particolari situazioni, sicuramente diverso rispetto a coloro che l’esperienza non ce l’hanno. Questi territori sono talmente estremi ed inospitali per noi esseri umani che diventa pressochè impossibile poter fare previsioni.
L’imprevisto è sempre alle porte, ma cosa si può fare di più per evitarlo o superarlo?
Sono sicuro che tutti coloro che si sono avventurati e si avventureranno attraverso territori di questo tipo, abbiano una preparazione adeguata. Non è sempre possibile evitare o superare un imprevisto, delle volte ti sorprende a tal punto che ti trovi nel mezzo e devi reagire ed è lì che subentrano un insieme di fattori capaci di determinarne l’esito, tra questi anche la cosiddetta fortuna. Mi piace ricordare che gli imprevisti, per noi avventurieri ed esploratori, sono le molle che ci danno quella carica per dire: “Sì, partiamo!”.
> Leggi anche: La filosofia per esploratori polari di Erling Kagge
Come prepareresti una spedizione polare?
Senza andare nei dettagli dico solo che la preparerei nel migliore dei modi, non tralasciando nulla, non sottovalutando nemmeno il più piccolo dettaglio. Migliore sarà il lavoro svolto prima di partire, maggiori saranno le possibilità di portare a termine l’impresa.
Nel caso di Henry ha contato molto l’aspetto psicologico: ha chiamato soccorso troppo tardi. Quali sentimenti sono così importanti da giocarti la vita? Più orgoglio o più tenacia?
Innanzitutto voglio fare le mie più sentite condoglianze alla famiglia e ai cari di Henry. Non me la sento di permettermi di giudicare qual è stato l’aspetto psicologico che ha prevalso in lui durante quelle ultime ore che ha vissuto in Antartide, anche se mi piace pensare sia stata la tenacia, il sentimento che l’ha portato a chiamare i soccorsi troppo tardi. Noi che facciamo questo per lavoro sappiamo bene che spesso è grazie alla tenacia che riusciamo a compiere imprese estreme ai limiti umani.
Per ripercorrere tutta l’avventura di Africa Extreme 2015 clicca qui.
Nel caso di Pontraldolfo: perché non ha previsto l’eventualità di proseguire a piedi, il cosiddetto piano B, nel caso il vento fosse cessato? Cos’è successo realmente: mancanza di cibo e risorse per sopravvivere più a lungo?
Non conosco i piani previsti da Michele e quindi non sapendo ciò che ha calcolato, mi diventa impossibile poter dare una risposta precisa. Ciò di cui sono però certo è che, per l’esperienza polare che ha accumulato in tutti questi anni, se ha deciso di ritirarsi ha sicuramente avuto i suoi buoni motivi. Meglio ritirarsi che non tornare a casa! Lo stesso vale se non ha optato per un piano B. Dubito non avesse calcolato in modo impeccabile cibo e risorse quindi credo abbia fatto tutto ciò che era nelle sue capacita e possibilità, ma di fronte alla potenza e alla forza della Natura non a favore, ben poco si può fare.
Qual è il meccanismo mentale che ti porta a rischiare la vita?
Io ovviamente mi limito a rispondere per me, poi ognuno ha la propria motivazione. Amo rischiare la vita proprio perché a questa vita ci tengo molto. Portarla al limite, rimanendo spesso in condizioni disagiate e difficili, è un modo per capire alcuni importanti valori, valori spesso dimenticati o accantonati. In sostanza, rischio per vivere.
> Leggi anche: Perché alcuni hanno lo spirito d’avventura e altri no
Temperature disumane, costi enormi, la solitudine: perché?
Perché una vita senza avventura, per me, è una vita vissuta a metà e a me le cose a metà non sono mai piaciute.
In particolare perché i Poli? Nord o Sud? Qual è il loro fascino? Identificano una meta “dovuta” per un esploratore?
I Poli così come gli Oceani, le Grandi Montagne, le Immense Foreste, i Deserti sono obiettivi, mete, zone capaci di trasmettere smisurato fascino a chiunque. Sono le zone dove la Natura, quella più estrema, la fa da padrona. Ognuno poi trova il proprio obiettivo in essi, il proprio fascino. Noi avventurieri ed esploratori lo troviamo “immergendoci” in questi ambienti, tanto estremi quanto affascinanti.
> Per approfondire: Perché ci affascinano gli sport ad alto rischio?
©RIPRODUZIONE RISERVATA