In bici a pelo d’acqua è una serie di itinerari di cicloturismo – o meglio, una rete di percorsi e varianti di circa trecento chilometri – che uniscono Novara e i suoi territori alla Svizzera, nel magnifico Vallese, seguendo un unico filo conduttore: l’acqua.
Un progetto maturato nell’ambito del progetto comunitario Interreg – che promuove e finanzia scambi e collaborazioni tra regioni europee – e coordinato in Italia dall’Agenzia Turistica Locale della Provincia di Novara. Ne abbiamo percorso un tratto e ve lo racontiamo. spoiler: è un itinerario davvero sorprendente!
Guarda la gallery con le tappe del percorso.
In bici a pelo d’acqua, itinerari di cicloturismo lento da Novara al Vallese
L’acqua accompagna il cicloviaggiatore in forma di fiume (il Rodano nel Cantone Vallese, il Toce e il Ticino nei tratti italiani) e di lago (si costeggia il lago d’Orta e ci sarà tempo per un rapido saluto al lago Maggiore).
Ma c’è anche l’acqua delle risaie – che hanno reso celebre la pianura padana in tutta Europa – e persino un’inaspettata acqua di mare: non le famose spiagge svizzere o i rinomati lidi novaresi (si scherza naturalmente), bensì la cosiddetta Via del Mare che un tempo consentiva a viandanti e mercanti di raggiungere il mar Ligure partendo dai monti elvetici e attraversando per intero il Piemonte orientale.
Abbiamo percorso l’itinerario, che raccontiamo qui e consigliamo vivamente per una gita fuori dai soliti percorsi.
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Dal Vallese al Novarese: i percorsi e le tappe
La già citata Via del Mare è il tratto più lungo e continuo di questa rete cicloturistica: dal lago di Ginevra – più precisamente da Le Bouveret – il percorso segue fedelmente il fiume Rodano attraverso il cantone Vallese fino al passo del Sempione. Valicando il passo si entra in territorio italiano e saranno Toce, Agogna e Sesia ad accompagnare il viaggiatore verso sud, in direzione del mare: Domodossola, Omegna, Borgomanero, Novara e Vercelli i principali centri attraversati.
Due ulteriori tratti pedalabili, sicuramente più brevi, affiancano e completano la rete “In bici a pelo d’acqua” lasciando al cicloturista la possibilità di visitare ulteriori peculiarità del territorio e, perché no, di personalizzare l’esperienza sfruttando le numerose varianti proposte.
Il primo, battezzato la Pedemontana, unisce il Sesia al Ticino: da Romagnano Sesia, dopo aver attraversato i paesi di Boca e Maggiora, incrocia la Via del Mare a Borgomanero. Proseguendo verso est, la Pedemontana si avvicina sempre più al lago Maggiore: Gattico, Dormelletto (nei pressi di Arona), Castelletto sopra Ticino e infine Sesto Calende, dove il lago ritorna fiume, il Ticino.
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Il secondo percorso, la Via del Ticino, costeggia il fiume in direzione sud seguendo in parallelo la Via del Mare e addentrandosi nel Parco Naturale Valle del Ticino; il percorso termina nei pressi di Trecate dove, tramite una variante, è possibile ricongiungersi alla Via del Mare per completare il tragitto verso Vercelli.
Brochure, mappe e segnaletica accompagnano i viaggiatori giorno per giorno lungo tracciati cicloturistici riconosciuti dalla regione Piemonte e strade a bassa percorrenza. Due sono i tratti in cui il viandante più prudente può trovare un piccolo aiuto: il valico del Sempione può essere percorso con la formula bici+treno, invece la strada che costeggia il lago d’Orta – a volte trafficata in alta stagione – può essere evitata con la formula battello+bici, regalando anche l’occasione per una visita all’isola di san Giulio.
In attesa della primavera, in cui si potrà finalmente tornare a pedalare, abbiamo esplorato alcune delle meraviglie che il territorio di Novara offre al viaggiatore lento, zigzagando in pullmino tra borghi e colline; una breve pedalata, comunque, siamo riusciti a concedercela. Vediamo com’è andata.
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Spoiler: ne mandiamo poche, ma buone!
Primo giorno, tra il Sesia e Novara
Giusto il tempo di scendere alla stazione di Novara e subito si parte, molti sono gli appuntamenti della giornata. E per ben cominciare, prima tappa alla chiesa di san Leonardo di Borgomanero, proprio dove la Via del Mare interseca la Pedemontana. La gentile guida ci attende sull’uscio e apre le porte di questo gioiello romanico, prima metà del XII secolo, a cui probabilmente si deve il primitivo nome dell’abitato, documentato come Burgus Sancti Leonardi. Un’unica navata, un semplice altare e interni tutt’altro che sfarzosi: la composta sobrietà permette di apprezzare ancor di più la luce che mette in risalto gli affreschi alle pareti. Accanto al Cristo Pantocratore, a Evangelisti e ad Apostoli, ricorre e spicca una misteriosa figura di difficile identificazione, che alcuni riconducono ad un racconto alternativo – e curiosamente poco ortodosso – della vita di Giuda Iscariota.
Il tempo di una rapida occhiata alla settecentesca Villa Marazza – Casa di Cultura che custodisce trentamila libri antichi, oggetti e stampe d’arte – ed è già ora di pranzo. Aperta dal 1925, la sincera trattoria propone abbondanti porzioni di specialità piemontesi, tra cui il saporito tapulon, e ci racconta storie di ciclismo: Giorgio, zio dell’attuale proprietario, fu tra gli eroi del Giro d’Italia del 1956 e la sua bicicletta è orgogliosamente esposta all’ingresso del locale.
Caffè, ammazzacaffè e siamo di nuovo in viaggio per raggiungere Boca dove ci attende un’opera maestosa e sorprendente. È difatti tra queste colline e queste pianure che nacque Alessandro Antonelli, precisamente a Ghemme, ed è in questi luoghi – dietro una curva o al di là di una piazza – che ci si può imbattere in una delle sue impressionanti opere architettoniche: reso celebre dalla Mole torinese che ancora porta il suo nome, l’archistar di fine Ottocento non ha mai mancato di dimostrare che con tenacia, ambizione e un po’ di astuzia tutto è possibile, persino realizzare edifici che ancora oggi sfidano il cielo. Il Santuario del Santissimo Crocifisso di Boca è maestoso, gargantuesco, tanto imponente che nel 1907 una parte – flagellata da un violento temporale – crollò sotto il suo stesso peso gettando il piccolo borgo nel panico. La realizzazione dell’opera impegnò Antonelli per tutta la vita – l’architetto cominciò a lavorarci a 22 anni – e fu conclusa ben dopo la sua morte: i lavori terminarono solo nel 1970 e ancora oggi il detto “quando sarà finito il Boca” indica maliziosamente un fatto che non avverrà mai.
Il santuario è circondato da colline di origine vulcanica famose per la produzione del Boca DOC: un assaggio di vini pregiati tra ordinati vigneti baciati dal sole e siamo di nuovo in viaggio per l’ultima visita della giornata: Romagnano Sesia. La Cantina dei Santi rimane l’unica testimonianza dell’importante – e ora perduta – abbazia di San Silvano: le ampie stanze con soffitto a volta, probabilmente utilizzate per riunioni private o laiche, nel Settecento sono state trasformate in una cantina per la conservazione del vino. Questa imprudente trovata ha danneggiato parzialmente il ciclo di affreschi presente sulle pareti, salvandone solo la parte superiore e il soffitto. Inusuale il soggetto di quest’opera del XV secolo, che anziché raccontar di santi e apostoli segue la vita del biblico Re Davide: presentato come un eroe cavalleresco, fu probabilmente ispirato da una figura realmente esistita a cui rendere omaggio, forse un militare di cui oggi si sono perdute le tracce. All’imbrunire una visita al Museo Storico Etnografico della Bassa Valsesia con sede in Villa Caccia, altra opera di Antonelli che – a metà Ottocento – recuperò e trasformò un preesistente convento di cappuccini nella sontuosa residenza dei Conti Caccia di Romentino. Le stanze oggi espongono una ricca collezione di attrezzi e utensili legati alla vita contadina e rurale, ma la vera sorpresa è la ricostruzione di alcuni ambienti d’epoca che concedono una vera esperienza immersiva: l’aula scolastica, la sala della tessitura e persino l’antica osteria.
Si torna a Novara per l’ottima cena – regina della tavola la carne di Fassona – e per lanciare la testa sul cuscino.
Secondo giorno, tra il Ticino e Novara
Il mattino ha un dolce profumo: forse non tutti sanno che i famosi pavesini non sono altro che la versione industrializzata dei fragranti e tipici biscottini novaresi. Bis-cotto perché l’antica ricetta prevedeva una doppia cottura: nato come omaggio pasquale dei conventi novaresi al Papa, il dolcetto così seccato poteva arrivare sino alla lontana Roma ancora fragrante e ben conservato. E proprio così, fragranti e ancora caldi, li abbiamo assaggiati nel più antico forno di Novara, che dal 1852 segue fedelmente la ricetta della tradizione.
Si riparte, questa volta in direzione Ticino, per raggiungere Villa Picchetta (Cameri) dove finalmente inforcheremo le biciclette per una lieta scampagnata. L’antico edificio, che fu proprietà di nobili famiglie e addirittura convento di gesuiti, è oggi sede dell’Ente di Gestione delle Aree Protette del Ticino e del Lago Maggiore. Proprio tra queste mura “In bici a pelo d’acqua” sta allestendo un bike-hotel: l’inaugurazione è prevista nel 2024 e la struttura offrirà un luogo attrezzato e convenzionato in cui i cicloturisti potranno dormire, cucinare e prendersi cura delle biciclette nell’adiacente ciclofficina.
Finalmente in sella si pedala tra i boschi del parco costeggiando il fiume: i colori sono autunnali e, malgrado le giornate siano abbondantemente fuori stagione, i sentieri rimangono puliti e scorrevoli grazie all’Ente che provvede alla loro manutenzione tutto l’anno. Meta della sgambata il mulino vecchio di Bellinzago, l’unico mulino ad acqua ancora in funzione all’interno del parco. Oggi centro regionale di Educazione Ambientale, nelle sue stanze ospita macine, macchinari e suggestivi reperti che raccontano la vita quotidiana di mugnai e agricoltori.
Salutiamo le cortesi guide del parco e torniamo a Novara giusto in tempo per l’eccellente pranzo in una storica salumeria con cucina: indimenticabili gli assaggi di gorgonzola e di salame d’la doja.
Questa gita non poteva concludersi senza l’Antonelli e in città si trova la sua opera più celebre dopo la Mole: la cupola gaudenziana. Con i suoi 121 metri è uno degli edifici in muratura più alti al mondo: visibile da chilometri di distanza rende il profilo di Novara unico e inconfondibile. Un cantiere durato oltre quarant’anni, una serie di progetti – astutamente modificati in corso d’opera – per spingere l’edificio sempre più in alto e – naturalmente – le amministrazioni comunali sempre più preoccupate dal crescente costo dell’ardita costruzione: nulla di nuovo, insomma, quando si parla dell’Antonelli. Con una differenza, questa volta: gli orgogliosi novaresi, uniti nel comune desiderio di abbellire la città, accettarono di buon grado di pagare una tassa aggiuntiva per finanziare il cantiere e per questa ragione la basilica di san Gaudenzio, a differenza della maggioranza delle chiese italiane, rimane proprietà del Comune di Novara, vero esempio di chiesa cittadina. Sono innumerevoli gli scalini da affrontare per salire sulla cupola: da qualche tempo è infatti possibile – muniti di caschetto e imbragatura – visitare l’edificio dall’interno e salire fino alla vertiginosa altezza di cento metri. Vorrei raccontarvi di quanto è bello il panorama da lassù ma niente, le vertigini hanno avuto la meglio: esperienza consigliata a viaggiatori che non temono le altezze.
È tempo di saluti: un’ultima passeggiata in centro – da non perdere la suggestiva piazza delle Erbe e lo smisurato Duomo (Antonelli, ancora lui) – e si fa ritorno a casa. Un rapido ringraziamento – in ordine cronologico – ai luoghi che ci hanno cortesemente accolto e rifocillato: Trattoria del Ciclista (Borgomanero), Tenute Guardasole (Boca), Civico 27 (Novara), Biscottificio Camporelli (Novara), Tavoli in Salumeria Moroni (Novara), Kalatà (salita alla cupola gaudenziana).
Buone pedalate a tutti!
Fotografie: inbiciapelodacqua.it e marco__biella
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