Quando si tornerà a sciare è la domanda del secolo, una di quelle domande impossibili che nei quiz in TV ti farebbero guadagnare un milione di euro. L’ultima volta che il Governo, nel momento dell’approvazione di un Dpcm, si è espresso sullo sci era la metà di dicembre. Allora si disse che non c’era possibilità di sciare a Natale e che se ne sarebbe riparlato dopo l’Epifania, il 7 gennaio. Poi, viste le varie lungaggini burocratiche e delle ritardate approvazioni dei protocolli da parte del CTS, si è cominciato a parlare del 25 gennaio salvo poi tornare al 18 in un momento di ingiustificato ottimismo. Va da sé che in tutto questo i torti siano stati del Governo, degli impiantisti che pretendevano l’impossibile, degli sciatori che dovevano sentirsi in colpa e perfino del Padreterno che proprio quest’inverno ha voluto mandare giù metri di neve fresca anche dove non nevicava dai tempi dei mammuth.
Quando si tornerà a sciare?
A questo punto, è il caso di evitare di buttare lì altre date. Tutti gli impiantisti d’Italia sono pronti ad accendere i motori anche domattina ma la possibilità che non si riapra più fino al novembre prossimo è concreta, almeno per una buona parte di loro. Tutto dipenderà da cosa accadrà venerdì 15, dai protocolli in approvazione dal CTS e dal volume dei ristori teoricamente garantiti dal Governo dal Dpcm che verrà reso pubblico. A qualcuno potrebbe convenire tenere chiuso piuttosto che aprire solo due mesi. A qualcuno servirebbe anche aprire solo qualche weekend per avere un minimo di flussi di cassa. Adesso che siamo alle porte di una crisi di Governo, c’è una ulteriore buona scusa per dimenticarsi della montagna. Il Presidente dell’Alto Adige settimana scorsa ha affermato che il 18, checché ne dica il Governo italiano, loro apriranno le piste solo per i residenti (immaginiamo che abbia senso farlo solo nel weekend e non certo dappertutto – e chissà quanto costeranno gli skipass) ma sappiamo “per certo” che una parte degli impiantisti ci penserà molte volte prima di accendere i motori.
Zone gialle e arancioni
Sarebbe stato anacronistico pensare, come si faceva fino a pochi giorni fa, ad una Italia in zona gialla che però sarebbe diventata rossa nei weekend, impedendo qualsiasi attività che non fosse lavorare e fare la spesa. Pare certo, invece, che nel prossimo Dpcm di venerdì passi il concetto che le regioni con un basso indici di RT diventino gialle (non sarà il caso della Lombardia e del Veneto, comunque) ma che sarà comunque vietato il traffico da una regione all’altra. I trentini, gli altoatesini e i piemontesi almeno consumeranno le ciaspole e le pelli di foca e gli slittini. Oggi come oggi, anche se ci fossero le piste aperte, i ristoranti e i rifugi sarebbero chiusi: settimana scorsa c’è stata una gara “di rilevanza nazionale” al Passo San Pellegrino in Trentino e gli atleti sono stati costretti a trascorrere quattro ore in piedi sotto la neve a temperature intorno ai -15°C perché i rifugi erano chiusi. Ha senso? Senza poi dimenticare che, avendo un infortuno, il primo ospedale sicuro è a un’ora di auto di distanza. Qualsiasi cosa venga decisa venerdì, purtroppo o per fortuna, lo sci e il turismo invernale sono legati a doppio filo con il resto della vita sociale nazionale ed è ben difficile immaginare che uno funzioni quando l’altro è fermo.
E a Carnevale?
Alla fine dei conti – dopo esserci domandati per mesi se si fosse potuto praticare lo scialpinismo in zona gialla o se tirarsi palle di neve in zona rossa fossereato – tutti siamo diventati consapevoli che il turismo invernale passi attraverso decisioni politiche che filtrano i dati dei contagi. Noi non abbiamo i mezzi per sapere cosa sia giusto o meno giusto ma la faccenda è tutta lì. Nella logica, prima devono abbassarsi gli indici di contagio e poi ricominciamo. Prima di domandarsi sesi potrà tornare a sciare a Carnevale nel classico periodo delle settimane bianche, bisognerà chiedersi perché la situazione dei contagi non migliora nonostante siamo rimasti chiusi in casa dal 24 dicembre ad oggi, chiedersi se dovremmo fare una vita “quasi normale” imparando a convivere col virus prendendosi ognuna la propria responsabilità, chiedersi se i diversi sistemi di calcolo e di gestione dei contagi all’estero funzionano meglio dei nostri. Un esempio? In Svizzera sciano tutti ma nel prossimo weekend sono state annullate le storiche gare di Wengen, nell’Oberland Bernese, per un improvviso focolaio. E nessuno si è lamentato, ovviamente. Dall’altra parte del confine, la Merkel sta facendo passare il lockdown fino ad aprile e Macron impone il coprifuoco dalle ore 18.
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