Markus Eder, una vita da freerider: l’intervista

Markus Eder premiato dopo la vittoria alla tappa di Courmayeur del Freeride World Tour 2013

Altoatesimo classe 1990, Markus Eder è un campione del freeride – basti vedere la sua vittoria alla tappa di Courmayeur dello Swatch Freeride World Tour by THE NORTH FACE, nel 2013, uno straordinario esempio di tecnica e classe. Non solo: Eder è anche uno degli azzurri che prenderà parte alle Olimpiadi di Sochi nella disciplina del freestyle, che è poi stato il suo primo amore quando ha deciso di liberarsi dalle convenzioni dello sci da pista tradizionale e sperimentare altro.

Lo abbiamo intervistato mentre si apprestava a partecipare anche quest’anno al FWT in Valle d’Aosta, e abbiamo parlato della sua vita da freerider, di come affronta la montagna e la paura, e ci siamo fatti dare qualche consiglio utile a chi vuole cimentarsi nel fuoripista divertendosi e riducendo i rischi.

Cosa ti ha spinto a passare dallo sci alpino al freestyle e al freeride? Cosa cercavi?
Ho fatto pali per quasi dieci anni, e alla fine mi sono un po’ stufato dell’allenamento serio tutti i giorni; non c’era più tanto divertimento. Quando ho visto il primo video di sciatori freestyle, subito il cuore mi batteva più forte. Un anno dopo ho iniziato a fare freestyle, senza allenatore, da solo e con gli amici: era molto più divertente.

Com’è la vita del freerider professionista? Interessante, vero?
Andare in giro per il mondo, conoscere tanta gente diversa, sciare su neve fresca pazzesca… Ma non è sempre e solo divertimento, ovviamente; non è facile viaggiare sempre da solo, deve piacerti. E c’è tanto allenamento da fare e ci sono tanti infortuni.

Quando ti trovi sotto a una parete che devi scendere, che sensazioni provi?
La prima impressione che ho è tanto rispetto. Ma è difficile da spiegare. Ho tantissima voglia di scendere e di fare una linea bella. Si tratta di andare sopra i tuoi limiti, vedere quanto riesci a fare, dove riesci a scendere.

A proposito della linea: quanto c’è di studiato prima e quanto invece ti affidi all’istinto durante la discesa?
La preparazione è abbastanza lunga. Per le gare si sale un giorno prima, o anche due o tre, e si studiano tutti gli angoli della montagna per capire quanto sono alte le rocce, dove si potrebbe saltare giù. Si parla tantissimo con gli altri sciatori per confrontarsi sulla linea che hai scelto. C’è tanto ragionamento da fare.

Qual è il tuo modo di approcciare la discesa?
Vengo dal mondo freestyle, quindi non salto rocce altissime come fanno tanti freerider, ma provo a fare dei trick, un salto indietro, un 360°. La linea si sceglie così, a volte funziona meglio, come l’anno scorso a Courmayeur, ma non sempre vedi le linee particolari subito (e tante volte vince chi sceglie le linee particolari).

Come affronti i problemi di sicurezza?
Non voglio rischiare la vita, come potrebbe sembrare da fuori: quello che faccio è abbastanza sicuro. Bisogna sempre avere paura, perché la paura è ciò che evita di farti rischiare tutto.

Quindi come gestisci la paura?
Spesso sembra che non abbiamo paura, che siamo dei pazzi che rischiano tutto, ma in realtà è non è così: tutti hanno paura. È bello esplorare i tuoi limiti, ma bisogna avere paura – altrimenti è meglio che cambi e fai altro. Tantissimi miei amici sciavano senza la paura addosso e si sono fatti male.

Quali sono invece gli errori da evitare scendendo?
Bisogna sempre cercare atterraggi dove c’è tanta neve, per non finire sulle rocce. Poi devi valutare i punti in cui c’è tanta neve e dove c’è stato il vento che può averla segnata. Ma soprattutto devi gestire le rocce, sapere dove sono: a volte non si vedono perché sono nascoste sotto la neve.

Una volta che sei arrivato in fondo, ripensi alla prova che hai fatto?
Ci strapenso. Per esempio l’anno scorso a Courmayeur ho fatto due o tre errori e quasi non ero contento della mia linea; pensavo: questo potevo farlo meglio. Volevo salire e scendere un’altra volta, anche se avevo vinto.

La competizione cosa ti scatena? “Senti” la gara?
Quando sono su, prima di partire, a volte ho così tanta tensione e paura che quasi non voglio più farlo, ma quando arrivi in fondo, quando funziona tutto e riesci a fare quello che volevi, è una soddisfazione pazzesca. È questo il motivo per cui faccio questo sport.

I tre posti più belli dove hai fatto freeride?
L’Europa è il posto migliore. In America, in Canada e in Nuova Zelanda non ci sono impianti che ti portano in cima e bisogna camminare parecchio per arrivare sul terreno bello, oppure ti serve la motoslitta o l’elicottero. Se devo scegliere, Courmayeur è veramente il massimo. Poi casa mia, Klausberg in Valle Aurina, dove conosco tutti i posti segreti. E l’Alaska. Lì la neve è da sogno, diversa dalla nostra: è più profonda, fa più freddo e quindi non si bagna.

Un consiglio per chi vuole provare a iniziare il freeride?
Andare in montagna con gli amici e divertirsi: se ti diverti esce qualcosa di bello.

In merito alla sicurezza: qualche consiglio per sciare fuoripista riducendo i rischi?
Mai uscire fuoripista senza Arva, pala e tutto quello che ti serve per salvare te i tuoi amici. Anche se a volte sembra abbastanza sicuro, possono scendere le valanghe. Poi, io cerco sempre di andare fuoripista con gente che sa quello che sta facendo: non ha senso andarci da solo, è troppo pericoloso. C’è gente che ha tutto quanto, ha l’Arva, lo zaino abs, e pensa di poter andare ovunque da sola. È sbagliato.

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